Non tutte le fabbriche sono di cioccolato

Portfolio Personale

Martedì 30 ottobre 2023 ho smontato la mostra “Non tutte le fabbriche sono di cioccolato” esposta nella sede dell’ACAF (Associazione Catanese Amatori Fotografi) e con un pizzico di malinconia mi sono ritrovata nei panni dell’abbandono. In questo caso direi dell’abbandonante, perché io, senza esitare, mi accingevo ad abbandonare, ancora un volta, quella “fabbrica” dismessa e solitaria che ho tanto mostrato con orgoglio.

La mostra non era fine a se stessa. Durante la serata di apertura ho avuto il piacere di discutere un tema assai importante: il portfolio fotografico. Più che presentare, come mio solito fare, dopo aver spiegato il mio punto di vista, definizioni e meccanismi, mi sono confrontata con i partecipanti alla serata. Nel dibattito sono state poste domande e esposto pensieri grazie al critico avvocato Pippo Pappalardo che ci ha illustrato il suo punto di vista e approfondito alcuni punti della serata con la sua sapiente conoscenza, la serata più che personale è divenuta un dibattito sul tema trattato.

Oggi, non sto qui a spiegare tecniche, raccontare il come?, dove? quando? e perché? del progetto, ma riporto le mie intenzioni e il mio portfolio. Buona lettura!

Non tutte le fabbriche sono di cioccolato

di Agata Lagati

Roald Dahl scrisse, nel suo libro “La fabbrica di cioccolato”, di un’adorabile industria che sfornava dolciumi per ogni tipo di fantasia. Raccontò di un misterioso quanto non meno eccentrico signor Willy Wonka che aveva fondato le sue strategie di vendita su idee incredibilmente assurde, talmente assurde che risultarono geniali. Ma, ahimè! non tutte le fabbriche hanno la stessa sorte e sappiamo quanto sia difficile avere fortuna proprio come il signor Wonka.

Nelle fiabe russe, il linguista Vladymir Propp nota uno schema interpretativo fisso: il protagonista che vive una situazione sfavorevole, a seguito di un avvenimento, riesce a raggiungere uno stato di benessere che lo riscatta dalla vita precedente. Nella nostra storia il protagonista (in questo caso la fabbrica) vive una situazione inversa: da una situazione favorevole raggiunge uno stato di disgrazia a causa di una sventura.

A causa di un’errata gestione economica, di un litigio fra soci, della dipartita del fondatore e per altri mille motivi, molte fabbriche non trovano la giusta strada per avere il successo che vogliono. Scopriamo, quindi, molti edifici dismessi, abbandonati alle incurie del tempo e dei curiosi che vandalizzano, trafugano, fotografano tutti gli ambienti in cui è possibile accedere. Da queste visite nasce l’altra anima di una fabbrica. Cambia la fisionomia dell’edificio, si mischia la ragione sociale con la fantasia gotica e si trasformano i ricordi.

Sembra di essere finiti dentro un film di Tim Burton dove dalle tenebre nasce la vitalità del racconto. La tristezza aleggia in tutto il suo splendore nella struttura che, colorata dalla luce del tramonto, finisce per raccontare quel che ha vissuto.

Il vento che soffia muove le porte. Si sentono scricchiolare i vetri delle finestre che fanno ormai da pavimentazione, i fogli non ancora ingialliti si dimenano come a richiamare la loro ancora flebile vita che li trattiene lì e un ultimo sguardo, che lei stessa dedica tristemente alla vicina, nasconde ancora segni di umanità fra le pieghe dell’abbandono.

Agata Lagati